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...quella scatola magica
di Stefano Mancini...
Gianpiero Dalpozzo 
(Gallerista)

 

“Il mio mondo è fatto di personaggi fiabeschi, leggeri e colorati che si muovono all’interno di castelli colmi di fantasia, un mondo fatto di tanti ritagli di carta, uniti dalla forza espressiva del colore del pastello a olio”... Così esordisce Stefano Mancini in una presentazione del proprio lavoro. Nonostante i suoi lavori risultino intrisi di elementi pittorici, Mancini non si considera un pittore puro, ma, grande sedentario dell’arte, adopera le mani e la testa per realizzare opere che restano sempre nel campo della pittura, dell’apparire di un immagine dentro la dignità laica della forma mai autobiografica e grondante soggettività, ma sempre disegnata in termini oggettivi e mentali, come si conviene a un’opera a futura memoria, per fare capitolare lo sguardo e per ricapitolare il già tutto dipinto. Uomo di teatro, di liriche e poemi, Mancini crede di conseguenza all’arte come cimento culturale, capace di sfiorare molte temperature, calde e fredde, gelate ed espressive, ma tutte tenute sotto l’ombrello protettivo di una finezza di spirito che si identifica con quello dello stile. Come un Matisse degli anni sessanta, egli è portatore di uno stile di superficie, che non significa senza profondità, ma consapevole della sua necessità di apparire ed affiorare all’evidenza della forma in maniera pulita. Mancini crede nell’iconografia, alla rappresentazione teatrale come momento di fondazione di uno stile, di un comportamento, in questo caso, temperato dal senso della storia, dal peso consapevole di immagini mitiche dell’arte, che portano l’artista all’umiltà di una leggerezza espressiva. Segno di grande gravità morale, della necessità di una misura in fondo dialogante fuori dalla superbia di chi pensa di poter cancellare il mondo o la fiaba, con il proprio segno. Il destino dell’artista è quello di diventare anch’egli spettatore della propria ossessione formalizzata. In questo, Mancini, è artista di memoria culturale, di chi comprende il percorso di andata e ritorno della cultura e degli stili stessi.
Tutto quello che appare o che vediamo
E’ solo un sogno dentro il sogno
(Edgar Allan Poe)
Mancini in questo senso è un artista che non sembra lontano dall’asserzione. Nel nostro caso, nella nostra epoca, la vita di un artista è anche un lungo sogno costellato dalle ombre degli altri artisti, che hanno già attraversato le epoche, lasciando tracce ineliminabili che necessariamente invadono anche il sogno esistenziale dell’artista contemporaneo. Perciò, Mancini, è partecipe e spettatore nello stesso tempo delle proprie immagini, per questo egli è contemporaneamente in mezzo al “sogno”, di cui parla Poe, nella sua poesia, e sul placido luogo dell’approdo formale che lo porta ad una calligrafia ferma e placata, in tal modo oggettiva. Lo fa con gli strumenti che gli sono proprii, quelli della pittura, dei collages di carte e di stoffe adatti a fondare un punto visibile che ci permette di entrare in quella scatola magica che è il suo teatro fantastico e personale.

 

 

C’era una volta … La magia della commedia umana” 

Cristina Palmieri (Critica d'arte)

 

- Immergersi in un’opera di Stefano Mancini è una “fantastica” peripezia dello spirito. E’ stato dimostrato, da decenni di studi, che molto del nostro nucleo psicologico si forma quando, ancora bimbi, ci confrontiamo con la dimensione della fiaba, la quale, entrando in consonanza con la psicologia infantile, accompagna nel creare una prima visione del mondo, strutturando e guidando l’individuo nel superamento delle paure ancestrali e dei più atavici conflitti interiori. >> Essa possiede una multiforme ricchezza, in quanto metafora di esperienze di vita e di modelli di comportamento. Costituisce uno dei primi strumenti che dischiudono al pensiero immaginativo, il quale apre uno spazio di riflessione che restituisce e rielabora gli aspetti simbolici con cui il bambino impara a relazionarsi con l’esterno. Medesimo valore hanno anche il mito, la tragedia, la commedia, che altro non sono che fiabe per adulti. Come scriveva Emilio Tadini, a proposito dell’esperienza pittorica buzzatiana, “Molta letteratura e pittura dell’Ottocento e del Novecento – da Lautréamont a Bréton, da Chagall a De Chirico a Magritte – diventano più comprensibili se interpretate a partire dal concetto di fiaba o addirittura di mito (fiaba e mito, soprattutto in età moderna, sono due categorie in forte contatto fra loro, fra cui spesso non è facile tracciare una linea di demarcazione)….” Stefano Mancini si inserisce in questo contesto. Scenografo, costumista, ma soprattutto - pittore, è un artista versatile che sa creare un linguaggio espressivo che nasce da un’interessante commistione di elementi appartenenti a diversi ambiti della comunicazione. Acuto conoscitore delle più svariate tecniche pittoriche, tutte quelle che le avanguardie storiche ci hanno consegnato (collage,sperimentazione linguistica, accostamento di differenti materiali attinti dal quotidiano), ama perseguire esperienze contenutistiche in grado di restituirci la magia di quel mondo surreale e fantastico che celebra attraverso i suoi collages polimaterici. La rappresentazione satirica dell’immaginaria commedia umana vive nei suoi fiabeschi personaggi quale simbologia di un mondo gioioso e lieve, in cui, in un tripudio di colori brillanti e vivaci, trionfano l’amore, la leggerezza e la “joie de vivre”. In tutte le opere emerge la passione per l’architettura e per il teatro. I personaggi di questo artista si muovono infatti tra magnifiche quinte teatrali, oppure nel contesto di città medievali e rinascimentali, sullo sfondo di splendidi monumenti architettonici. Il loro mondo, così come i loro costumi, è colorato, sgargiante. Sono re e regine, nobildonne e cavalieri, che popolano regni immaginari dove ancora paiono vigere i valori cortesi. E noi in questo magnifico scenario ci immergiamo volentieri, poiché, da qualche parte, nella nostra memoria e nella nostra fantasia, queste figure esistono davvero e abitano i nostri sogni, come paradigmi di quel mondo perfetto che tutti vorremmo vivere. Ma non ci resta che rimanere rapiti ad osservarli, re senza regni, regine senza principi, guerrieri senza vittorie. Ed è questo contrasto, l’eterno conflitto tra reale ed ideale, che ce li fa amare. Dalla realtà al sogno, il mondo raccontato da Mancini appare come un’isotopia che ripropone, pur nella loro ogni volta nuova figurazione, percorsi tematici che entrano in consonanza con lo spettatore. Tutti gli elementi figurativi che l’artista pone sul proscenio della propria rappresentazione concorrono a comunicare il passaggio dal mondo reale alla dimensione magica del sogno. La verosimiglianza del contesto, l’uso della prospettiva, questi dipinti che paiono inquadrature di un cortometraggio, l’inserto della parola, sono tutti elementi comunicativi che contribuiscono a creare un contesto di riferimento “condiviso” che ci rassicura e ci avvince, regalandoci ad un’eternità senza tempo in cui tutto è possibile. Mancini ricorre, nel dar volto a questo mondo, a materiali disparati, quali stoffe, inserti di giornali, minuterie, e, con la meticolosità di un artigiano, unita alla sua esemplare abilità pittorica, pare per primo divertirsi, smarrendosi in esso con un umorismo di pirandelliana memoria, su questo palcoscenico fantastico, in cui i personaggi recitano il loro copione con velata ironia e sorridente agilità.

   

 

Il teatro nel teatro...

Giovanni Altamura (Gallerista)

 

Conosco Stefano Mancini in una gelida mattinata d’inverno.Fuori cumuli di neve appena caduta mi accompagnano verso il suo studio, immerso in una vallata innevata dove il silenzio regna sovrano. Entro nel suo studio e mi sembra di essere proiettato in un luogo incantato dove personaggi colorati e variopinti sembrano dialogare tra di loro in un mondo immaginario e spensierato: sono le ambientazioni teatrali che Stefano Mancini riporta sulla tela, sulla carta, sui cartoni pressati. I suoi personaggi sono ‘reali’, personaggi usciti dalle commedie teatrali di Sheakspeare, Moliere, Boiardo e tanti altri ai quali l’artista da una nuova vita, una nuova identità; ma non più sul palcoscenico bensì sulla tela. Troviamo quindi Romeo che corteggia Giulietta in una Verona d’altri tempi, Orlando, paladino di Francia, che innamorato di Angelica abbandona Carlo Magno, o Tartuffo, mendicante di corte che si infatua di Elmira, moglie del nobile che lo ospita. Di tutti questi personaggi Stefano Mancini racconta le loro storie, riesce a farli dialogare anche senza le parole, servendosi solamente dei suoi colori e dei materiali che utilizza, dalle passamanerie alle stoffe, alle carte da gioco. Il risultato è entusiasmante: la tela diventa un palcoscenico, le parole non servono più, o almeno non se ne sente la mancanza, tale è la forza espressiva che pervade l’opera; in un attimo si viene catturati dal suo mondo incantato, e le immagini rimangono nei nostri occhi ben oltre il tempo dedicato ad osservare dell’opera. Un passato da scenografo e costumista teatrale, Stefano Mancini sviluppa la sua espressività artistica nella pittura mediante sperimentazioni materico cromatiche con impreziosimenti di collage di carte e stoffe. Con il suo lavoro propone e affronta allegoricamente l’opera lirica, testi teatrali, favole e racconti rappresentati tutti con la chiave ironica e giocosa con cui legge e rielabora le sue idee e fantasie.
 

 

La smagatezza e l'ironia

di Giuliana Paolucci (Docente di semiotica dell’Arte all’Accademia di Belle Arti di Roma)

 

Accordi di colori puri alternati a fantasie di carte e stoffe. Il tutto supportato da un tratto deciso e sicuro. Questo è quello che ci regala l’opera di Stefano Mancini “a cavallo” tra sogno e realtà, in un mondo che si muove tra personaggi senza tempo in scenari fiabeschi ma ancor più teatrali richiamati anche dai titoli, ma soprattutto dall’atmosfera capace di evocare accenti musicali. Molti i riferimenti che vengono immediati, i più evidenti a Luzzati da cui Stefano attinge a piene mani, ma anche la smagatezza e l’iroria di Chagall o il colore giocoso di Matisse e di molta dell’esperienza cromatica dei fauve.
E’ evidente l’appartenenza dell’autore al mondo della scenografia , dei costumi e dello spettacolo nel senso più ricco ed ancestrale del termine che permette di leggere e reinterpretare la realtà attingendo alla sfera del mito e degli archetipi ma creando nello stesso tempo una sua cifra estremamente personale fatta di colore, fantasia, segno ed illusione.


 

 

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